Beautiful Boy: La Tossicodipendenza Secondo il Punto di Vista di un Genitore
Beautiful Boy è un film del 2018 diretto dal regista Felix Van Groeningen che prende spunto dall’omonimo libro di David Sheff, in cui l’autore scrive della dipendenza del figlio Nic e degli innumerevoli tentativi compiuti per aiutarlo a smettere.
Sheff è un giornalista e il libro nasce da un articolo scritto sul New York Times Magazine in cui racconta del figlio e della sua dipendenza dalle sostanze.
Beautiful Boy: libro e film
Mentre nel libro è il punto di vista del padre a fare da guida al lettore, nel film è possibile vedere come i due protagonisti, padre e figlio, vivano e intreccino le loro vite con la tossicodipendenza. Ovviamente i loro punti di vista sono quanto mai distanti: mentre Nic è invischiato in prima persona, il padre David è un “osservatore esterno” che, in qualche modo, subisce la dipendenza del figlio.
L’aspetto interessante del film, a mio parere, sta proprio nell’aver dato ampio spazio ai vissuti del padre piuttosto che a quelli di Nic. E’ presente anche la madre del ragazzo, ma siccome i genitori sono separati, ella ha un ruolo marginale, mentre assumono un’importanza molto maggiore la seconda moglie di David e i loro figli piccoli, fratelli di Nic ai quali lui è molto legato.
Gli aspetti drammatici della tossicodipendenza sono stati più volte portati sul grande schermo, dando molto respiro al punto di vista di chi la vive in prima persona. Film come “Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” o “Requiem for a dream” offrono uno spaccato piuttosto crudo e realistico del dramma della dipendenza visto dagli occhi del protagonista. In “Beautiful Boy” viene sottolineato il dramma familiare che si nasconde dietro un’esperienza come quella. E viene fatto smontando alcuni pregiudizi che ancora oggi, forse in forma minore di un tempo, vedono nella tossicodipendenza un problema legato all’appartenenza sociale. Nic cresce in una famiglia benestante, mentalmente aperta, in cui sembra che l’unico episodio negativo possa essere la separazione dei genitori. Ma al di là di ogni tentativo di comprenderne le cause, ciò che conta è che Nic, in un modo o nell’altro, cerchi di riempire i suoi vuoti con le sostanze.
La domanda che tormenta ogni genitore sulla tossicodipendenza del figlio
La ricerca delle possibili cause, o di quali potrebbero essere stati gli errori compiuti, è uno dei pensieri ricorrenti di David. Egli si informa, contatta specialisti, si rivolge alle cliniche per la disintossicazione e nel fare tutto questo non smette di chiedersi “Perché?”. Perché un ragazzo come Nic, con delle risorse e competenze importanti, con un’intelligenza e una sensibilità non comuni, è finito nel vortice della dipendenza da sostanze?
Ovviamente non esiste una risposta univoca ad una domanda tanto generale. Milioni di genitori, con caratteristiche molto diverse tra loro, potrebbero essersela posta nel ripensare alle possibile cause della dipendenze dei propri figli. E la storia di Nic e David sottolinea come la dipendenza non abbia “pregiudizi” di sorta: può caratterizzare il ragazzo che vive nella peggiore favela di Rio de Janeiro così come la figlia di genitori benestanti, il peggiore dei nostri compagni di classe al liceo o lo studente più brillante che abbiamo mai incontrato nella nostra vita.
Tossicodipendenza: l’esperienza lavorativa di uno psicoterapeuta
Nella mia esperienza come psicologo all’interno di una comunità di recupero per tossicodipendenti mi sono imbattuto in situazioni molto diverse tra loro. Per lo meno a livello esteriore. Le persone che ho conosciuto durante quella esperienza, estremamente formativa dal punto di vista sia professionale che personale, erano spesso accomunate solo dalla dipendenza dalla sostanza. Fine delle cose in comune. Avevano origini diverse, riferimenti culturali diversi, esperienze diverse, famiglie di origine diverse, interessi, competenze, passioni diverse.
Se proprio dovessi sforzarmi nel cercare un eventuale filo rosso che li possa collegare, questo potrebbe essere una grande fragilità di fondo. Capisco possa essere difficile pensare al tossicodipendente come ad una persona fragile, di cui volersi prendere cura. Spesso hanno la meglio le notizie di cronaca o le scene di degrado viste dal vivo o in tv. Proprio per questo ritengo che quell’esperienza lavorativa mi sia stata di grande aiuto sotto molti punti di vista.
Innanzitutto mi ha permesso di conoscere direttamente uno spaccato che fino a quel momento avevo conosciuto tramite libri, film, documentari o perché avevo sentito dire che quel ragazzo che faceva le elementari con me si era “infognato” con le sostanze. Venire a contatto con una realtà come quella mi ha permesso di capire quanti pregiudizi ruotino attorno alla tossicodipendenza e quanta poca conoscenza del problema ci sia realmente. Badate bene: la mia non è un’apologia del tossicodipendente. Tutti sanno di quali meschinità possono essere capaci (come, d’altronde, molte persone che non si sono mai neanche fatti una canna). Ma oltre a questo c’è poco altro. E conoscere non significa giustificare, ma comprendere. Comprendere che ci possono essere realtà nelle quali una persona sta così male da trovare come unico conforto una sostanza che potrebbe diventare la causa della sua stessa morte.
Comprensione come sospensione del giudizio
La sostanza come cura che però ha degli effetti collaterali incontrollabili e imprevedibili. E alcuni senza possibilità di tornare indietro.
Nel film ci sono alcuni passaggi in cui si sottolinea la ferocia delle azioni di Nic, come quando ruba i soldi dal salvadanaio di uno dei fratellini. E’ un gesto tremendo, estremo, imperdonabile. Ma non possiamo fermarci solo a questo. Anche se sarebbe più semplice e potremmo dare voce al nostro istinto punitivo che ha bisogno di trovare il giusto sfogo.
Non intendo svelare il finale del film, caso mai vi venisse voglia di vederlo. Sottolineo ancora una volta che l’aspetto interessante è dato proprio dall’aver posto una certa attenzione sul punto di vista genitoriale, sottolineando proprio l’impatto a livello familiare che un dramma del genere può avere. David le prova tutte, consapevole altresì che tutti i suoi sforzi saranno vani fintanto che non sarà Nic stesso a decidere di prendersi cura di sé. Ed è forse proprio questa consapevolezza a rendere David cosi “umano”. Dopotutto si sviluppa una “lezione di vita” piuttosto frequente e cioè che nessuno può determinare il cambiamento di qualcun altro. Neanche quando quel cambiamento potrebbe salvargli la vita.
Scritto da Dott. Enrico Grande: Studio Psicologo Torino