Il bullismo è caratterizzato da una serie di comportamenti violenti ripetuti nel tempo, ma quali sono le sue cause e i fattori che lo generano?
Bullismo: l’origine del termine
Il primo a utilizzare il termine bullismo, “Bullying” in inglese, fu Dan Olweus negli anni ‘70. Utilizzò questo termine per indicare i soprusi fra pari nelle sue ricerche sulla violenza a scuola, questa ricerca portò alla nascita di un programma antibullismo.
Considerato come massimo esperto in tema di bullismo e aggressività, Olweus, individuò i primi fattori per identificare il bullismo e per differenziarlo da altri comportamenti come scherzi, incidenti e giochi pesanti. Questi ultimi sono tutti molto importanti per la maturazione dei ragazzi, si è quindi reso fondamentale differenziare questi atteggiamenti dal bullismo.
La sua definizione prevedeva infatti atteggiamenti violenti e offensivi nei confronti di un proprio compagno, questi però sono perpetrati nel tempo:
“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni.”
Che cosa significa? Uno dei punti focali del bullismo, secondo Olweus, è il ripetersi della violenza nel tempo verso una singola persona, che sia operata da un gruppo o meno. In questa prima definizione si faceva riferimento solo alle offese verbali e fisiche, solo in seguito è stata riconosciuta l’enorme importanza delle violenze psicologiche e indirette.
Le Cause e i Fattori del Bullismo
Non esiste una singola origine del bullismo. Bisogna considerare diversi fattori sia individuali, come il temperamento, ma anche le dinamiche di gruppo, i modelli familiari, l’educazione ricevuta e le istituzioni spesso non attente alle relazioni fra gli studenti.
Tra tutti questi elementi uno dei più importanti è senza dubbio il modello educativo ricevuto dai genitori, sia che questo sia esageratamente severo o permissivo. Se si utilizzano fin troppe punizioni fisiche il bambino imparerà che la violenza è l’unico mezzo per far rispettare le sue ragioni. Al contrario, se lasciato troppo libero, non capirà fin dove i suoi comportamenti possano essere prepotenti e dannosi per le altre persone.
Olweus a metà degli anni ‘90 individuò tre fattori che predispongono al ruolo di bullo, o più in generale all’aggressività:
- Essere indulgenti durante la fase evolutiva del ragazzo, specialmente nei confronti di atteggiamenti aggressivi.
- Indifferenza, mancanza d’affetto e di calore della madre nei primi anni di vita.
- Eccesso di punizioni fisiche sin dall’infanzia non permettendo così di elaborare l’aggressività del bambino.
Per quanto riguarda le vittime di bullismo? Nel loro caso è stato osservato un’ambiente familiare eccessivamente protettivo e una forte dipendenza verso la figura di attaccamento. A causa di ciò si sviluppa un ritardo nel gestire autonomamente le relazioni con i propri compagni.
L’importanza della famiglia
All’inizio degli anni 2000 Genta individuò 3 generi di famiglia considerando l’indipendenza personale e la coesione tra i vari membri.
- Le famiglie che coesistono pacificamente in armonia con l’indipendenza individuale sono molto equilibrate
- Famiglie con eccessivo attaccamento tra i vari membri vivono l’ambiente esterno come un pericolo.
- Le famiglie scarsamente unite non sono in grado di definire i confini tra ambiente esterno e nucleo familiare.
I bambini che non sono coinvolti in attività di bullismo apparterrebbero al primo gruppo, chi invece ne diventa vittima al secondo e per ultimo i bulli, terzo gruppo familiare.
In parole povere, sia l’aggressività del bullo che della vittima provocatrice potrebbe essere causata dalle varie forme di violenza assistite in casa. Chi la subisce fin dai primi anni di vita, sia psicologicamente che fisicamente, interpreta erroneamente i segnali del mondo esterno sentendosi così nel diritto di utilizzare la violenza per ottenere ciò che desidera.
Altro fattore da non sottovalutare è il valore trasmesso dalla famiglia. In quest’ultimo caso sarebbero proprio i valori trasmessi dai genitori a influenzare il comportamento del ragazzo nei confronti dei compagni. L’egoismo e l’individualismo sono centrali nelle famiglie di bulli, per le vittime invece sono incentrate per lo più sulla solidarietà.
Altre cause del bullismo
Nel corso degli anni, grazie agli studi effettuati, sono emersi ulteriori fattori e cause che potrebbero originare il bullismo. Tra questi la ricerca di De Ajuriaguerra e Marcelli (1984) secondo cui una delle cause potrebbe essere l’intolleranza verso qualsiasi tipo di ritardo nel soddisfare la loro richiesta. La frustrazione di fronte al rifiuto scatenerebbe una forte reazione aggressiva, violenta ed esasperata.
Invece, secondo Ciucci e Fonzi (1999), a scatenare il bullismo sarebbe la forte sensazione di controllo che aumenta la propria autostima, il potere e il dominio sugli altri. Lo status sociale che l’individuo ha raggiunto all’interno del gruppo potrebbe condizionare il comportamento. Indagando ancora di più si scopre che questi comportamenti potrebbero essere causati da un astio nei confronti della società, probabilmente a causa di contesti familiari non adeguati, oppure al semplice gusto di infrangere le norme sociali.
Altro ruolo chiave è la difficoltà ad essere empatici e a comprendere le sofferenze indotte da parte del bullo, nella vittima invece la mancanza di abilità affettive ben sviluppate verso i compagni. Altro meccanismo sarebbe il disimpegno morale, ad esempio la violenza “a fin di bene” oppure “non è grave come sembra, in fin dei conti lo fanno tutti”.
Nelle dinamiche relative al bullismo, non bisogna dimenticare l’importanza del ruolo degli spettatori, ovvero gli altri membri del gruppo che assistono agli atti di bullismo senza esserne coinvolti “direttamente”, ma al corrente di ciò che sta accadendo. Il loro comportamento non può mai essere considerato neutrale: essi possono sostenere la vittima o il bullo. Anche l’assenza di partecipazione comunica il “permesso” al bullo nel continuare a perpetuare il comportamento.
Uno studio (Pepler & Craig, 1995)ha addirittura dimostrato che, se ci sono altre persone presenti, è più probabile che il bullo continui il comportamento violento verso la vittima più a lungo. Questo può essere dovuto al fatto che il bullo ricerca il supporto del gruppo. Lo stesso studio sottolinea che, in assenza di “spettatori”, è meno probabile che il bullo compia un’azione aggressiva nei confronti di un altro soggetto o che la continui nel tempo.