Caro lettore, cara lettrice,
con queste poche righe mi piacerebbe darti la possibilità di sbirciare dentro alla mia stanza. Non posso dirti con certezza che cosa troverai una volta oltrepassata la soglia, dopo aver superato il tappeto ed essere passato vicino alla libreria: ognuno compie la propria ricerca e trova ciò che sta cercando..se capace di farsi le domande giuste. E chi non è capace? Nessun problema, si impara anche quello, possiamo farlo insieme. Sì, perché è da qui che si parte: da una domanda. La tua.
Spero di non deluderti dicendoti che io non ho tutte le risposte..ma tu si!
Quello che posso fare è aiutarti nella loro ricerca, a fare chiarezza, ad eliminare o modificare ciò che non è necessario o che fa stare male, posso aiutarti a raccontarci la tua storia per capire in che punto della tua strada hai perso o dimenticato quelle risposte così tanto importanti adesso. Mi piacerebbe accompagnarti lungo il cammino.
Ho molta fiducia nelle tue capacità, nelle tue risorse e nella tua ricchezza, nel tuo cuore e nella tua mente. Peccato che ogni tanto ci si dimentichi di avere tutti questi strumenti, a volte la vita ci pone di fronte ad ostacoli che sembrano insormontabili, o che magari lo sono davvero, e ci sentiamo impotenti ed incapaci, veniamo sopraffatti. Alcune volte siamo stufi di lottare, siamo stanchi, e serve qualcuno su cui appoggiarci e fare affidamento. Bada bene: non mi sostituirò a te in questo lavoro, ma ti starò vicino e ti guiderò rispettando i tuoi tempi e le tue decisioni.
Uno dei luoghi comuni sullo psicologo è che sia il primo ad essere un po’ matto e che abbia intrapreso questo tipo di studi e di professione per risolvere in primo luogo i propri problemi.
Non credo sia lontano dalla verità, solo amplierei un po’ il concetto modificandolo leggermente.
In fondo, lo psicologo è prima di tutto una persona, e come tale ha una storia, la propria storia, ha delle relazioni significative, dei problemi, dei punti di forza e di debolezza. Con fatica, pazienza e sensibilità si è affacciato al proprio mondo interiore e alla realtà che lo circonda. Ebbene sì, anch’io ho dei mondi dentro e fuori di me. Oltre ad essere psicologa, sono anche una figlia, una sorella, una nipote, una compagna, un’insegnante di danza, un’amica, una collega… Quando entro in stanza con te, entro per intero, la parte professionale e quella personale. Per me è importante che tutta la mia persona sia presente, con la consapevolezza di ciò che appartiene a me e cosa invece a te che mi stai di fronte. L’aver preso consapevolezza di alcune ferite personali, di avere le risorse necessarie per sanarle, la capacità di riconoscermi e del prendermi cura di me, mi aiutano a poter essere presente in maniera empatica e sincera, e ad aver fiducia anche nelle tue capacità. Questo non vuol dire che io porti la mia vita privata sul lavoro o che confonda i contesti e mi lasci travolgere dalle risonanze che sentirò, significa che trarrò da tutta la mia esperienza le risorse per poter svolgere la mia professione: mi ricorderò che cosa significa essere figlia quando mi parlerai della tua famiglia d’origine, ma tenendo ben separata la mia esperienza e mettendo in primo piano la tua, la tua descrizione personale, i tuoi vissuti.
Ogni parte, ogni esperienza, ogni storia sono importanti dentro alla stanza di terapia.
Anche la parola matto sarebbe, a mio avviso, un po’ da riconsiderare. Così come tutte le parole e le definizioni..perché c’è il rischio che si riduca tutta la persona a quello, e che essa stessa finisca per identificarsi. Sarebbe un peccato, non trovi? Quante cose andrebbero perse con questa semplificazione! E allora certo che la diagnosi ci aiuta ad orientarci, ma è un’immagine momentanea, non un’etichetta indelebile, non è una descrizione esaustiva: dove vanno a finire altrimenti la storia, i desideri, i sogni, le difficoltà, gli obiettivi di ognuno? Possiamo descrivere dei comportamenti, dei tratti di personalità, delle modalità frequenti di pensare o ragionare, e nel farlo non possiamo prescindere dall’ambiente e dal contesto nei quali si è vissuti, il sistema, la rete di relazioni significative di cui si è parte. Considero il sintomo come una comunicazione di qualcosa che non funziona, non solo come l’espressione di problematiche individuali, ma come coinvolgente l’intero sistema, e come la migliore soluzione che quella persona e/o quella famiglia hanno trovato per sopravvivere fino a quel momento.
Si tratta di un lavoro di cura nei propri confronti, verso il proprio sé. E la cura inizia dall’ascolto e dal riconoscimento. Solo a questo punto si è in grado di vedersi e di ascoltare la propria voce, le proprie voci, che avranno acquistato nuovo valore e nuova dignità. Benvenuto.